Critica d’Arte a cura di
Elviro Langella
È veramente arduo se non impossibile commentare distaccatamente l’attività artistica di Alessandra S. De Simone mantenendo l’opportuna distanza critica per esprimere un giudizio obbiettivo sulla qualità artistica delle sue opere.
Assistere ad uno spettacolo come La danza dei Fili è un’esperienza che stravolge gli ordinari parametri di valutazione. Pur prescindendo dall’indubbia seduzione estetica, l’immancabile coinvolgimento emotivo induce nello spettatore fin dalla prima scena, una progressiva, lucida consapevolezza delle problematiche sociali di drammatica attualità evocate dal testo di Alessandra, nelle quali ci riconosciamo quotidianamente coinvolti quali diretti protagonisti, chiamati in prima persona a dare risposte responsabili.
Per chi ha avuto la fortuna di assistervi, la prova generale dello spettacolo, vero banco di prova della già collaudata professionalità di Alessandra nel ruolo di regista, è una vera lezione di vita. La Danza dei Fili unisce pittura, scultura, canto, musica, poesia, mimo, teatro d’ombre, danza classica, contemporanea, caraibica, e si arricchisce di elementi che aggiunge e modifica di volta in volta, in base alle tradizioni culturali, allo stile di discipline diverse, alle consuetudini dei Paesi o della città che ospitano la performance.
L’autrice sperimenta inedite contaminazioni tra stili e linguaggi espressivi tradizionali econtemporanei, spaziando dall’ambito classico, a ritmi esotici, caraibici, e aggregando in perfetta sintonia ballerini d’Italia, Brasile, India, Ecuador, Argentina e Nazioni Unite.
Coinvolge a pari titolo, sia giovani professionisti di prestigiose scuole di danza, sia ragazzi provenienti da ben altre realtà e contesti di emarginazione, affacciandosi con sensibile impegno umanitario, sulle tante storie di sofferenza dei disabili.
Da un canto, porta in scena i diretti protagonisti del disagio ambientale e delle disparità sociali delle periferie, pescando per esempio, alle invivibili frontiere delle favelas, nell’edizione ambientata al Teatro Castro Mendes di San Paolo in Brasile. Oppure, proprio in quest’ultima rappresentazione della Danza dei Fili a Torino, è l’universo sociale dei disabili ad appassionare la regista, suggerendo attraverso il sogno del volo della danza, una via riscatto dalla loro sfortunata condizione di “farfalle ferite”.
Non ho potuto fare a meno di rimanere ammirato e al contempo commosso dinanzi alla singolare capacità di Alessandra De Simone di condurre la sua regia istituendo con tono e modi rassicuranti, un rapporto con i soggetti portatori di handicap sempre animati da grande sensibilità e desiderio di sconfiggere con ammirevole forza di volontà, il disagio della propria inabilità.
2
L’entusiasmo della gioia creativa che la regista riesce a trasmettere per una rara empatia caratteriale, infonde quella fiducia necessaria a vincere qualsiasi imbarazzo e comprensibile scoraggiamento.Sublimando il doloroso stress di una performance così impegnativa, assistiamo alla fine della prova generale, ad un inaspettato miracolo. Con rara eleganza, le scene affidate ai ragazzi disabili, alla Rosa, all’umile Spazzino, agli Alberi Sacri, alla Farfalla Madre, si incastonano d’incanto nello sviluppo narrativo dell’intero spettacolo, senza niente togliere alla bellezza e all’armonia nella messinscena finale proposta al pubblico.
In questo Alessandra De Simone sembra essere riuscita nel nobile ideale degli autentici Artisti di restituire a noi tutti il coraggio di osare un grande sogno: la gioia di volare alto, a cominciare dalla“Farfalla Madre”.
L’Ambasciatrice nel mondo delle preziose radici antiche della cultura artistica del nostro Paese, l’opera di Alessandra Silvia De Simone per gli stessi messaggi di impegno sociale che veicola, costituisce soprattutto un evento di grande ricaduta formativa per i nostri giovani. L’intensa ricerca attestata dalle molte edizioni dello spettacolo che riscuote ormai da anni notevole coinvolgimento di pubblico, nelle capitali più rappresentative delle diversità etno-culturali del globo, garantisce il recupero e la trasmissione alle nuove generazioni di quel ’inestimabile patrimonio spirituale rappresentato dalla nostra tradizione artistica. Naturalmente, rivisitato e riattualizzato in sintonia con le inclinazioni dei giovani del nostro tempo improntato ai new media, attraverso le forme di espressione ad essi più congeniali, in linea con gli imprescindibili modelli estetici contemporanei e i linguaggi multimediali.
La ricerca di Alessandra S. De Simone si inserisce nel più ampio progetto di “Arte totale” che trova nella Danza dei Fili il suo coronamento.
Sarebbe riduttivo pensare però, che le opere allestite al Teatro Concordia siano soltanto studi preparatori alle 17 scene nelle quali si articola lo spettacolo. Ogni singola opera ha una sua autonomia espressiva; non vuole prefigurare la semplice idea preliminare per uno storyboard, né tanto meno un progetto scenografico, una maquette destinata alla messinscena.
Guardando l’intera galleria espositiva ci ritroviamo piuttosto, a ripercorrere l’ininterrotto filo del pensiero dell’Autrice che, tessendo la trama del proprio dialogo interiore d’artista, le consente di dar forma organica alla Fabula picta offerta al pubblico, frutto dell’intimo travaglio creativo.
Che l’Autrice parallelamente alla mansione di regista e coreografa, dedichi grande attenzione al work in progress dell’opera in ogni dettaglio, è attestato dalla poliedrica versatilità mostrata nelle diverse competenze richieste dall’allestimento finale; dai disegni scenografici, alla body painting, ai costumi, che richiedono alla stessa stregua, innate doti inventive e consumata manualità, oltre ad una costante, fattiva sperimentazione.
L’Arte vera non può prescindere da un’appassionata, certosina dedizione artigianale fin nel dettaglio tecnico, sia esso il più piccolo accessorio sartoriale o piuttosto, un effetto di luci in scena. Questa verità universale attraversa trasversalmente la storia dell’Arte, dalla bottega dei grandi artisti rinascimentali, fino alle geniali invenzioni di Stanley Kubrick degne di Leonardo, che hanno rivoluzionato radicalmente il nostro modo di guardare il cinema.
Scorrendo le opere di Alessandra S. De Simone in mostra al Teatro Concordia, non può sfuggire una dichiarata predilezione della nostra pittrice per l’Astrattismo, nell’accezione più pura ed originaria mutuata da Paul Klee e da Kandinsnsky. Intesa cioè, come “Musica del visibile”. Vale a dire, una trasposizione nel colore, di timbri cromatici accordati come autentiche note di un’armonica partitura musicale.
Eppure, la pittura di Alessandra S. De Simone aspira qui ad essere qualcosa di ancora diverso da forme, simmetrie e colori che alludono liricamente alla Musica. È preludio a movimenti di danza! Dalle sinfonie di colore dell’Astrattismo all’armonia della gestualità espressa dalla danza, il passo in fondo, è breve. Lo troviamo splendidamente riassunto nell’arte moderna, da La Danse dipinta da Matisse; metafora di una danza cosmica che riconcilia l’umanità in un nudo abbraccio.
La più illuminante intuizione artistica di Alessandra Silvia De Simone consiste nell’aver saputo conciliare stati d’animo dell’uomo dei nostri giorni con questa antica aspirazione umanistica ad elevarci verso l’ideale Armonia universale, non attraverso un’astratta visione contemplativa della Bellezza e di un modo di intendere l’Arte fine a se stessa.
Portando oggi, sulla scena in forma di una raffinata favola contemporanea, il vissuto delle concrete problematiche del nostro tempo, l’Artista ci consente di rintracciare il sotterraneo fil rouge che intreccia provvidenzialmente il complesso, sofferto ordito dei nostri destini umani in un comune, auspicabile progetto di Pace, Solidarietà, Uguaglianza.
Il Tema narrativo
Il tema del viaggio fantastico tra le stelle in chiave di favola contemporanea non è certo nuovo. Un precedente famosissimo è rappresentato da Le petit prince di Antoine de Saint-Exupéry. Ma per alcuni il piccolo principe sembrerebbe parlare esclusivamente al cuore sentimentale del lettore. La sua pur innegabile bellezza poetica rischia così, di essere equivocata per l’eccessiva insistenza sui toni retorici della narrazione, e una certa ostentazione moralistica.
Né giunge inedito il tema del viaggio astrale quale pretesto allegorico per riaffacciarsi sul nostro mondo con occhi distaccati, rivisitandone luci, ombre, contraddizioni da un punto di osservazione di ampio respiro, sciolto da legami e bassi compromessi terreni. Dall’alto appunto, degli incontaminati spazi siderali. Sconfinando in tali nuovi orizzonti, è possibile una lucida riflessione sui grandi temi legati all’epopea umana sul nostro pianeta, contestualizzata ai delicati equilibri superiori che regolano la vita dell’universo intero.
Ulteriori paralleli con questo genere narrativo di viaggio fantastico, potrebbero venirci da lontano. A cominciare dal Viaggio cosmico in sogno (Iter extaticum coeleste 1671) compiuto da Athanasius Kircher nel sistema solare a cavallo di Hydriel, l’angelo dispensatore di preziose conoscenze che fa da scorta all’autore lungo il suo sorvolo esplorativo.
[un libro che sembrerebbe inaugurare già nel ‘600 un certo genere di romanzo fantascientifico] O piuttosto, Il Globo di Venere di Antonio Conti ove è Urania a fare da guida, riassumendo in un’unica personificazione poetica le due anime dell’Amore e dell’Armonia celeste.
Educare all’Arte
In riferimento alla dichiarata finalità educativa soprattutto rivolta ai giovani, mirata a ri-attualizzare i grandi temi dell’Arte italiana, al fine di divulgare la nostra grande tradizione culturale nel mondo, a me sembra si possa cogliere nel Teatro di Alessandra De Simone un innegabile riferimento all’ideale classico incarnato in pieno Rinascimento, da quel genere di rappresentazione scenica ispirata alla “Musica delle Sfere celesti”.
Il sogno inseguito dalla nostra Alessandra di un’“Arte totale” nella quale interagiscano sinergicamente le molteplici performance, dalla danza alla musica, dalla Video Arte al Teatro d’Ombre, alle arti visive tradizionali, figurative o astratte esse siano, è a guardar bene, l’altra grande eredità ancora una volta attinta all’antico sogno coltivato proprio nella grande stagione dell’Arte classica italiana. La note che accompagnavano i concerti e le coreografie ispirate all’Armonia cosmica della “Musica delle Sfere” nella quale si rispecchia l’armonia umana, risuonavano un tempo nelle nostre dimore dell’Arte rinascimentale. Come lo spettacolo rappresentato a Firenze in occasione delle nozze di Ferdinando I de’ Medici con Cristina di Lorena [maggio 1589] per le scenografie e i costumi di Bernardo Buontalenti e le coreografie di Emilio de’Cavalieri danzate sui luminosi intermezzi di Giovanni de’ Bardi.
Ma perché è così importante la conoscenza e la divulgazione dell’Arte antica nel panorama della cultura contemporanea nel quale i giovani si trovano ad orientare oggi la loro formazione con strumenti innovativi, tecnologie e linguaggi del tutto rivoluzionari rispetto al passato? Perché nel Teatro di Alessandra De Simone coesistono le due anime dell’educatrice e della regista? Perché lo Spazio-Tempo nella Danza dei Fili, in virtù del surreale viaggio cosmico tra stelle e pianeti, sembra allineare su un unico orizzonte sincronico il passato e la contemporaneità, due universi paralleli che ci è dato a tratti attraversare come per magia?
A mio avviso, bisogna far mente locale alla lunga esperienza dei progetti finalizzati ad educare i giovani all’Arte, maturata da Alessandra De Simone soprattutto al Dipartimento di Educazione del British Museum di Londra (2011).
Quello che nelle vesti di educatrice, preme trasmettere ai suoi allievi è che la finalità dei ogni vero Artista consiste nel prendere coscienza dell’imprescindibile legame che lo lega consapevolmente o no, alla tradizione. È dal passato che trae origine il segreto fil rouge che attraversa sotterraneamente le sue opere, perché ogni immagine nell’Arte ha una storia ben più antica dell’autore che si illude di detenerne la paternità esclusiva. È piuttosto, il risultato di una stratificazione geologica di sguardi, la sintesi delle infinite visioni del mondo dei grandi autori che ci hanno preceduto. È insomma, il frutto di un ininterrotto dialogo con il passato che un grande storico dell’Arte, Ernst Gombrich, definisce il gioco della “culla di spago”. La metafora è presa in prestito a quel gioco dei tempi passati, intrattenuto da due bambini pizzicando uno spago e passandosi di mano l’abile intreccio ottenuto dalla cordicella che disegna sempre nuove figure geometriche. Non è anche questa in fondo, una “Danza dei Fili” ?
Per una felice intuizione, la nostra regista fa scorrere in background, sequenze tratte da servizi televisivi quasi sempre di sconvolgente attualità. Così, ci ritroviamo sotto il fuoco dell’estenuante bombardamento dei media.
Alla comprensibile inquietudine derivante dalla massiccia overdose di informazioni caotiche e contraddittorie, fa però, da contraltare l’intermittente apparizione di scorci di alcune celebrate opere d’arte ben note al largo pubblico, di impatto sicuramente più distensivo.
Tra le opere, non facciamo fatica a riconoscere la famosissima Pietà vaticana e l’altra Rondanini di Michelangelo o piuttosto, l’elegantissima scultura, Amore e Psiche di Antonio Canova, ove le labbra dei sorridenti giovinetti quasi si sfiorano, al culmine dell’impeccabile coreografia nella musicalità del tenerissimo abbraccio.
Autentici sogni incarnati magicamente nel marmo, tali capolavori hanno il potere di far riaffiorare plasticamente dall’immaginario di ognuno, archetipi profondamente radicati nella cultura occidentale che improntano intimamente non solo il gusto estetico delle origini classiche dell’arte figurativa, ma anche il modo di sentire e di trasmettere i valori umanistici. Valori universali, a prescindere dai modelli morali di riferimento e dalle diversificate convinzioni religiose.
Come interpretare l’audace soluzione scenica della nostra regista che non esita ad intercalare immagini così contrastanti? Da un canto, la luminosa spiritualità dell’Arte, dall’altro, il prosaico mondo caotico dei mass media?
A guardar bene, la nobile finalità felicemente conseguita a seguito della lunga sperimentazione didattica al British Museum di Londra, mira a restituire l’originaria sacralità alle opere nate dalla fantasia creatrice dei grandi artisti del passato; a farne rivivere la profonda umanità ai giovani.
Proprio attraverso la musicalità del gesto della danza che imita plasticamente la postura del gruppo scultoreo, attraverso l’emozione della performance, i giovani sono chiamati a rivivere e far rivivere nel vivo della scena, il potere di quelle immagini antiche e pur sempre contemporanee, di saper parlare al cuore, toccando le corde più intime della nostra interiorità.
Imparare a guardare le opere dei nostri grandi maestri non fermandosi alla pura contemplazione della loro bellezza esteriore e dell’inimitabile virtuosismo, implica una moderna educazione all’immagine. Tanto più opportuna nell’attuale modello di società spesso identificato appunto, come “civiltà dell’immagine” per antonomasia.
Eppure, un’autentica opera d’Arte non può essere ridotta ad una semplice “icona” della nostra “civiltà dell’immagine”. È qualcosa di più! È piuttosto, un’Immagine nel senso più profondo. La cui originaria fonte iconologica va cercata nell’etimologia stessa della parola “immagine”, come Henry Corbin e James Hillman ci spiegano, e va rintracciata nell’antica radice persiana “Himma”.
Essa sta a denotare la forza generatrice che scaturisce dal cuore. La parola “immaginazione” oggi molto spesso usata con sufficienza, racchiude memoria di implicazioni ben più significative e illuminanti: “il potere creatore del cuore” risveglia e fa palpitare archetipi dell’immaginario sonnecchianti nell’interiorità vissuta nell’Inconscio di ognuno.
In questa chiave sembrano trovare risposta i mille dubbi sollevati dall’Angelo della Danza dei Fili. Egli si interroga su quale destino attenda il nostro mondo, deluso dall’esplorazione di un pianeta dissacrato da insane passioni e soggiogato dall’irrazionale esplosione dei più bassi istinti.
Un’unica immagine emersa da tale sconfortante scenario, gli appare degna di attenzione al punto da indurlo a cambiare opinione sull’indole distruttiva dell’Uomo in spregio al luminoso destino che la Natura gli aveva assegnato.
L’Angelo si inginocchierà perfino, devotamente dinanzi all’immagine di un bambino ancora avvolto, come la crisalide nel bozzolo, nell’amnio materno ripreso in endoscopia intrauterina.
Dunque, una speranza si accende all’orizzonte !? Tutta la grande Danza che l’Umanità si trova ad inscenare in questo mondo, non può che ripartire a cominciare dal Filo della Vita: dal cordone ombelicale che lega l’Uomo a madre Natura.
Un provvidenziale filo rosso guiderà alfine l’Uomo nel misterioso e pur avvincente labirinto della Vita! Il filo vitale intorno al quale tutto l’inestricabile intreccio dei nostri destini si dipana, consente all’uomo di ricongiungersi alle energie che presiedono alle origini della Creazione d’ogni cosa, d’ogni specie e tra le specie, la specie umana.
Ecco perché in queste scene tra la Rosa e gli alberi Sacri interpretati da giovani disabili, appare al pubblico in retroproiezione, quello scorcio della Cappella Sistina che mostra l’originaria scintilla vitale scoccata all’alba della Genesi del mondo, tra la mano di Adamo e quella del Creatore.
Questo incontro, questo corto circuito generatore di vita rappresenta come meglio non si potrebbe, il punto nodale di saldatura tra Macro e Microcosmo. Che è poi, un tema caro alla De Simone, tant’è che torna spesso a riaffacciarsi anche nella sua pittura.
È l’osmosi perfetta del respiro dell’Uomo con l’energia pulsante nel Cuore dell’universo dalla quale ogni creatura trae linfa.
È impossibile non cogliere nella scena dell’Angelo assorto dinanzi all’epifania del Bambino ancora legato al cordone ombelicale materno, un indiscutibile analogia col “bambino delle stelle” di Stanley Kubrick nella sua Odissea nello spazio. L’impercettibile rotazione del corpicino sullo schermo, quel “movimento immobile” che solo i grandi artisti di tutti i tempi hanno saputo catturare [Sandro Bernardi], riportano d’incanto ogni sequenza di movimenti della Danza dei Fili, al grado zero! Ogni ulteriore passo di danza, ogni gesto, ogni movimento coreografico riparte da qui; dal miracolo della vita che si è appena rivelato agli occhi dell’Angelo e che lo porterà ad innamorarsi nuovamente dell’Uomo, sebbene abbia smarrito la propria vera natura e il fine al quale è orientata la sua avventura nel mondo.
Official website: https://www.ladanzadeifili.com